Da piccolo ho sempre trovato il gioco degli scacchi molto più interessante della dama. Gioco a scacchi per riflettere su me stesso...sulla vita.
Ogni pezzo ha una propria caratteristica e, come in un qualsiasi sistema complesso, disposti su una scacchiera partecipano tutti all'esito finale.
Ogni tanto, la sera, quando sono tutti a letto ed il silenzio è mio amico, metto la scacchiera sul tavolo e, non avendo nessuno con cui giocare, dispongo con calma i pezzi e gioco una partita contro me stesso.
Ieri ero così stanco ed avvilito che mi addormentai prima ancora che facessi la prima mossa.
Superata la fase REM il pedone che avevo tra le mani, come d'incanto, ritrovò il proprio posto sulla scacchiera.
I pezzi si scrutano curiosi e riprendono a riflettere sulle proprie strategie.
I bianchi ed i neri sembrano andare a velocità diverse, da un lato c'è chi sostiene con vigore le antiche tradizioni (i bianchi), dall'altro c'è chi è più propenso alle strategie più innovative (i neri).
Il gruppo dei neri, ad un certo punto, capisce che la cosa migliore è condividere le responsabilità e cercare di cogliere i cambiamenti nella loro complessità.
Come i lupi, i neri capiscono che la sopravvivenza dipende dal lavoro di squadra, che non stare a passo con i tempi significa lasciare spazio ad un senso di disagio, ad una insoddisfazione latente ed un conseguente conflitto interiore...(o d'interesse?).
Nella complessità il pezzo nero si specializza e cerca di prestare più attenzione a specifiche competenze, capisce che mettere assieme, e quindi condividere, competenze e responsabilità è la soluzione vincente.
Ma la condivisione, se per i neri è una preziosa risorsa per i bianchi diventa un'insidia da combattere e sconfiggere. Allora per i bianchi la "complessità dell'evoluzione" diventa la "complessità dei rapporti".
Alcuni di loro pensano che un buon clima collaborativo sta alla base del benessere psichico, tuttavia scoraggiati dalla difficoltà di relazionarsi costruttivamente, di comprendersi, di superare i conflitti, alcuni continuano a sostenere l'antico umore tradizionalista e severo, e allora giocano una partita d'attacco.
I neri capiscono che il conflitto rappresenta un tentativo di conciliazione non riuscito tra punti di vista diversi, interessi diversi, culture o personalità diverse, ed allora scoprono che la prima chiave di svolta per risolvere il problema della convivenza e dello sviluppo armonico della partita è la "tolleranza", cioè la capacità di accettare e rispettare la diversità.
Vedono che ognuno ha le proprie idee ed i propri modelli di comportamento e pensano che questi sono unici ma che devono essere messi a disposizione degli altri, perché conoscendo se stessi e gli altri si evitano inutili sprechi di tempo e di energia.
A nessuno dei bianchi piace essere prevaricato, ognuno è unico e più bravo dell'altro. Le relazioni sono conflittuali, bastano pochi disfattisti e polemici per guastare l'armonia. Ed anche se i polemici ed i disfattisti non sempre sono totalmente negativi, l'essere prigionieri delle proprie abitudini e paure rendono più forte il loro carisma nei confronti delle istanze positive di altri pezzi.
Albert Einstein diceva che “La pace non può essere mantenuta con la forza, può essere solo raggiunta con la comprensione”. Per questo motivo uno dei neri s'intromette nel gruppo dei bianchi, perché pensa che per crescere il gruppo ha bisogno di altre chiavi di comprensione.
Osservando i bianchi capisce che l'attacco di qualcuno è un grido di dolore personale e un'implicita richiesta di attenzione, questo malessere poteva essere trasformato in uno stimolo positivo o poteva essere emarginato in modo da non inquinare il clima del resto del gruppo.
I neri, allora, trovano una nuova chiave di sviluppo delle proprie strategie: capiscono che creare un'atmosfera di confronto e di dialogo, di reciproca fiducia e condivisione può essere la soluzione migliore affinché ognuno potesse porsi apertamente, per dare il meglio di sé a vantaggio di tutta la squadra.
I bianchi ed i neri s'innervosiscono.
I bianchi perché non sono stati bravi nelle comunicazioni interpersonali, non sono stati in grado di gestire le proprie emozioni e non hanno avuto fiducia nelle azioni degli altri.
La ricerca continua e solitaria dello sviluppo armonico porta i neri ad isolarsi sempre di più, a perdere la giusta concentrazione e, di conseguenza, a sbagliare le proprie mosse.
Uno alla volta escono a testa bassa dalla scacchiera, perché non hanno saputo gestire i conflitti...e la partita finisce in stallo.
La luce, come una lama, aprì le mie palpebre quando era già mattina.
Tra le mani il pedone della sera precedente, sulla scacchiera i pezzi al proprio posto.
Peccato non aver fatto questa partita...anche se sarebbe terminata in parità.
Perché succede sempre così a chi gioca da solo.
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